Ho perso due figlie, Maia e Micol. Dal mio dolore è nato un sogno: un campus nel verde
Una vita spezzata troppo presto – Quando nel 2020 Maia, la più piccola delle tre figlie di Massimo Di Menna e Margherita, si è ammalata improvvisamente, la famiglia è precipitata in un incubo. Aveva solo 12 anni quando un tumore al cervello ha iniziato a consumarla inesorabilmente. Nulla lasciava presagire una simile tragedia: un malessere improvviso, poi le visite, la diagnosi, e infine l’impotenza. In quel momento, il mondo ha smesso di girare. Quando muore un figlio, si spezza l’equilibrio dell’universo di un genitore. Ma Massimo e Margherita hanno scelto di non lasciarsi schiacciare, cercando invece un modo per trasformare il dolore in qualcosa che avesse senso.
Il dolore che si rinnova – Come se non bastasse, la vita ha colpito ancora. Qualche anno dopo la morte di Maia, anche Micol, la secondogenita, è venuta a mancare per cause diverse ma altrettanto sconvolgenti. Un doppio colpo impossibile da spiegare, un dolore che si rinnova, che spacca e distrugge. In quei momenti, ciò che può salvare è solo un filo sottile di senso, una luce da costruire con le proprie mani, mattone dopo mattone, lacrima dopo lacrima. È così che la famiglia Di Menna ha iniziato a pensare a un progetto, qualcosa che potesse onorare la memoria delle loro figlie e dare un nuovo significato alla loro esistenza.
Un sogno che prende forma – Quel sogno ha preso il nome di Campus Maia e Micol, un progetto immerso nel verde alle porte di Bologna. Un luogo pensato per accogliere bambini, ragazzi e famiglie, offrendo attività educative, artistiche e terapeutiche. Uno spazio dove la bellezza della natura si fonde con il bisogno umano di rinascere. Il campus non è solo un centro ricreativo, ma un simbolo di speranza e resistenza. Qui il dolore non viene negato, ma accolto, trasformato, accompagnato verso un futuro diverso, più pieno di senso.
Educare alla vita, anche dopo la perdita – Il Campus Maia e Micol vuole essere anche un luogo di formazione. Accoglie educatori, volontari e professionisti che desiderano imparare a stare accanto alla fragilità e alla sofferenza. Le attività sono pensate per far emergere il potenziale di ciascun bambino, con laboratori creativi, percorsi nella natura, momenti di condivisione e ascolto. Il messaggio è chiaro: si può costruire anche dalle macerie, si può seminare anche nel terreno più arido. E proprio da lì può nascere qualcosa di straordinario.
Il potere della comunità – Il sogno di Massimo e Margherita non sarebbe stato possibile senza una rete di affetti e sostegno. Amici, associazioni, enti locali, semplici cittadini: tutti hanno contribuito con generosità e impegno. La comunità bolognese ha abbracciato questa idea con entusiasmo, trasformandola in un progetto collettivo. Perché quando il dolore diventa condiviso, trova una via per diventare amore. Il campus è un esempio concreto di come una tragedia personale possa fiorire in una risorsa per tutti.
Un messaggio che arriva al cuore – La storia di Maia e Micol continua a vivere attraverso il campus, attraverso ogni sorriso che sboccia tra gli alberi, ogni attività che si svolge nel verde. Massimo e Margherita hanno trasformato l’assenza in presenza, il vuoto in dono. Il loro messaggio è potente: anche nel buio più profondo, si può trovare una luce. Anche dopo aver perso tutto, si può decidere di donare ancora. Perché la vita, quando viene moltiplicata, non finisce mai davvero.
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