Infermiere lascia Bologna: “Non posso pagare l’affitto”
Un addio forzato alla professione che ama – “A 35 anni con lo stipendio da infermiere non riesco a pagare un affitto a Bologna. Mi licenzio”. Con queste parole, Pavel Krilovs, infermiere al pronto soccorso del Sant’Orsola, ha annunciato la sua decisione di lasciare il lavoro e tornare nella sua città d’origine, Reggio Calabria. Una scelta sofferta, dettata non dalla mancanza di vocazione, ma da un sistema che rende sempre più difficile per i professionisti della sanità sostenere il costo della vita nelle grandi città.
Il costo della vita insostenibile per chi salva vite – Bologna è una delle città italiane con i canoni di affitto più alti, e per Pavel, come per molti suoi colleghi, questa realtà si è rivelata insostenibile. “Amo il mio lavoro, ma non posso permettermi di vivere decentemente. Più della metà dello stipendio finisce in affitto”, racconta. Il suo è un grido d’allarme che mette in luce una contraddizione drammatica: chi lavora per la salute pubblica spesso non riesce a garantirsi una vita dignitosa.

Troppo poco valorizzati: il grido degli infermieri
Il personale sanitario tra passione e sacrificio – Pavel non ha mai messo in dubbio la sua vocazione: ha scelto la professione infermieristica per aiutare gli altri, con passione e dedizione. Ma vivere con un salario che non permette di coprire le spese essenziali porta a un logoramento inevitabile. “Ci chiedono turni massacranti, pazienza infinita, empatia costante. Ma poi ci trattano come numeri”. Il suo sfogo rappresenta la voce di tanti che restano invisibili dietro le corsie.
Il pronto soccorso e la crisi del personale – Il pronto soccorso dell’ospedale Sant’Orsola, come molti altri in Italia, soffre da tempo una carenza cronica di personale. Le dimissioni di professionisti come Pavel aggravano ulteriormente una situazione già critica. Senza un cambiamento strutturale nelle politiche sanitarie e salariali, il rischio è di vedere svuotati i reparti di emergenza, fondamentali per il sistema sanitario nazionale.
Il ritorno a casa come scelta di sopravvivenza – “Ho deciso di tornare a Reggio Calabria. Là ho almeno un appoggio familiare. Non è la soluzione che sognavo, ma è l’unica che mi permette di respirare”, confessa Pavel. Il suo non è un caso isolato: sempre più giovani professionisti del sud, dopo aver cercato opportunità al nord, si trovano costretti a rientrare, non per scelta ma per necessità. Un’inversione di rotta che dovrebbe far riflettere.
Una professione da valorizzare, non da abbandonare – Il caso di Pavel rilancia un tema cruciale: la valorizzazione del personale sanitario. Non bastano gli applausi nei momenti di crisi; servono contratti equi, stipendi dignitosi, condizioni di vita sostenibili. Se chi cura non riesce a vivere con serenità, l’intero sistema si incrina. È tempo di ascoltare queste storie e tradurle in riforme concrete.